di Carlo CAVALLO
Avvocato in Torino
Articolo comparso sulla rivista BancaFinanza (settembre 2014)
Il 3 giugno 2014 sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui i Giudici della Quarta Sezione Penale della Corte di Appello di Milano hanno assolto con formula piena i funzionari di quattro istituti bancari stranieri condannati in primo grado per concorso in truffa aggravata ai danni del Comune di Milano, in relazione al ruolo da essi svolto in alcune operazioni finanziarie intraprese dal Comune su strumenti finanziari derivati.
Insieme ai funzionari, come si ricorderà anche per l’ampio risalto dato dai media alla notizia, sono state assolte da responsabilità amministrativa “dipendente da reato” ex D. Lgs. 231/2001 anche le rispettive banche di appartenenza.
La sentenza consta di ben 483 pagine e la sua motivazione è assai articolata nel ricostruire il contesto storico nel quale si sono dipanati i fatti e l’inquadramento giuridico che consegue a tale sviluppo.
Per quanto maggiormente interessa in questa sede, la Corte ha chiarito una serie di questioni sollevate dalla decisione di primo grado, concernenti la pretesa responsabilità amministrativa delle medesime.
Prima questione.
La Quarta sezione ha smentito che la responsabilità di alcuni degli enti condannati potesse sorgere, nel caso di specie, dalla violazione dell’art. 5, c. 1, lett. a) D. Lgs. 231/2001, poiché i manager imputati non potevano essere qualificati come soggetti “apicali” delle rispettive società.
Il Giudice di Primo Grado, invece, aveva condannato tre delle società in quanto i funzionari avrebbero agito come “…persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unita’ organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso…” (art. 5 comma I, lettera a), deducendo, poi, da tale circostanza che i modelli organizzativi delle società, sebbene idonei, in astratto, a prevenire fatti come quelli in oggetto, sarebbero stati nella specie tuttavia inefficaci e anzi costituissero addirittura: “una attenta precostituzione di alibi, al solo fine di garantire ai funzionari di grado superiore una specie di impunità”.
La Corte d’Appello ha criticato tale conclusione, viziata dalla “pretesa di dedurre l’idoneità del modello sol perché un reato è stato commesso, mentre invece è interpretazione pacifica ed ormai accettata sia in dottrina che in giurisprudenza, che neppure per la persona giuridica sia possibile prospettare una responsabilità deprivata di ogni elemento soggettivo”. Al contrario, sostengono i Giudici d’Appello, per affermare la responsabilità delle banche sarebbe stato necessario non solo che il Tribunale verificasse la colpa in organizzazione, consistente nell’adozione di un modello non idoneo, ma anche che la pubblica accusa provasse che la commissione del reato fosse stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza, in quanto tutti i funzionari imputati – escluso uno, comunque esente da responsabilità – non erano soggetti apicali della società, bensì persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di tali soggetti ex art. 5, co. 1, lett. b) D. Lgs. 231/2001.
Secondo la Corte: “Gli istituti di credito chiamati a giudizio, in definitiva, vanno liberati da ogni accusa giacché manca il reato presupposto e non mancano invece modelli organizzativi idonei ed efficacemente attuati ben prima degli accadimenti per cui è stato processo.”
Seconda questione.
La Corte, poi, ha confermato la piena applicabilità della normativa ex D.Lgs. 231/2001 agli enti stranieri e alla categoria di enti esercenti attività bancaria. Significativo in proposito è questo passaggio della sentenza: “Le disposizioni in contestazione si applicano invero a tutti gli enti forniti di personalità giuridica, alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica. […] Pertanto, ricadono nel perimetro applicativo della norma le società di capitali, le società di persone, le società cooperative, le associazioni con o senza personalità giuridica e con o senza scopo di lucro, gli enti pubblici economici, le fondazioni e i comitati. Le Banche italiane non possono certo dirsi esentate da siffatta disposizione. Perché mai dovrebbero mai esserlo le Banche di diritto straniero che in Italia cercano obbiettivi d’investimento? Non v’è ragione alcuna di introdurre una simile deroga se non violando l’art. 3 della Costituzione”.
A tal fine, la Corte richiama la decisione della Corte di Cassazione del 9 maggio 2013 n. 20060, emessa in fattispecie analoga.
Terza questione.
La Corte, infine, ha ribadito il principio secondo il quale il titolo di responsabilità dell’ente sia autonomo rispetto alla responsabilità penale individuale dei soggetti incriminati.
Perché vi sia responsabilità è necessario che venga compiuto un reato da parte di un soggetto riconducibile all’ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile. La responsabilità penale presupposta può essere ritenuta anche solo in via incidentale (ad esempio perché non si è potuto individuare il soggetto o perché questi non è imputabile) e ciononostante può essere sanzionata in via amministrativa la società.
In conclusione: “Non va automaticamente esclusa la responsabilità amministrativa dell’ente in conseguenza dell’assoluzione del suo funzionario”. Pertanto è d’obbligo ribadire che, in coerenza alla vigente normativa, unica insormontabile trincea appare l’adozione di idoneo e specifico modello organizzativo in grado di garantire contro le gravi conseguenze correlate alla commissione di un reato.