Si segnala la interessante pronuncia assolutoria del GIP presso il Tribunale di Torino (dr.ssa Minutella) intervenuta in ordine alla contestazione di false dichiarazioni per il conseguimento del Reddito di Cittadinanza, reato punito dall’art. 4, D.L. 4/2019.
All’imputata – cittadina italiana dalla nascita che aveva però sempre risieduto all’estero, fino al 2020 – era contestato di aver falsamente dichiarato, nella modulistica predisposta per l’accesso al beneficio, il possesso del requisito della residenza ultradecennale in Italia, previsto dalla norma, invece pacificamente mancante.
Con la decisione in commento, all’esito del giudizio abbreviato, il Giudice ha accolto la prospettazione difensiva in ordine alla carenza dell’elemento soggettivo del reato – dolo specifico – sulla base delle condizioni personali dell’imputata che, all’epoca dei fatti, era arrivata in Italia da pochissimo e non conosceva a sufficienza la lingua italiana per potersi rappresentare esattamente il contenuto delle dichiarazioni contenute nella domanda, peraltro inviata con la mediazione di un CAF. Richiamando un recente arresto della Cassazione a Sezioni Unite (Cass. Sez. U, sentenza n. 49686 del 13/07/2023, dep.13/12/2023, Rv. 285435) e facendo leva sul contenuto – stringente – del dolo richiesto dalla fattispecie, assimilabile alla volontà manifesta di conseguire un sussidio a cui non si ha diritto e non ad una mera disattenzione o imprecisione nella compilazione della domanda, il Giudice ha così mandato assolta l’imputata.
Particolarmente degno di nota è il passaggio della Sentenza sotto il profilo dell’affidamento riposto dall’interessata nella competenza degli operatori del CAF a cui si era rivolta (e che le avrebbero prospettato, di loro iniziativa, l’accesso al Reddito di Cittadinanza), che così si esprime: “L’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre l’istanza non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di fàlse dichiarazioni di cui all’art. 7 co. 1 D.l. 4/2019.11 dovere di rendere dichiarazioni complete e veritiere è, chiaramente, personale ed indelegabile. Tuttavia, la prova del dolo specifico di ottenimento indebito del beneficio non può derivare né dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo, né da una “culpa in vigilando” sull’operato del professionista, che trasfomerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo“. In nota, peraltro, l’estensore precisa che “Si tratta di argomento utilizzato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 37856 del 18/06/2015, Sez.3, dep. 18/09/2015. La fattispecie analizzata dalla Corte di Cassazione era assai differente (art. 5 D.lgs. 74/00), ma le considerazioni svolte in termini di dolo specifico paiono applicabili anche al caso di specie).
Da qui la prova della mancanza dell’elemento soggettivo in capo all’imputata e la conseguente assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
A margine, si segnala che il Giudice accogliendo l’argomentazione della difesa, ha ritenuto il reato di cui all’art. 7, D.L. 4/2019 speciale e quindi assorbente rispetto alla contestazione di cui all’art. 316-ter c.p., inizialmente inclusa nella richiesta di rinvio a giudizio.