Nota a C. App. Milano, sez. V pen., 19 gennaio 2021 (Presidente Dr. Mattacchioni, Relatore Dr. Arnaldi)
Con la decisione in commento, la Corte territoriale milanese ha confermato le pronunce assolutorie nei confronti di tutti gli imputati coinvolti nel noto procedimento per i decessi amianto-correlati riconducibili ad esposizioni ad amianto negli stabilimenti Ansaldo S.p.A. (già Breda Termomeccanica) di Viale Sarca, a Milano, nel periodo compreso fra gli anni 1973 e 1985.
I diversi imputati si erano succeduti ed avvicendati in cariche amministrative dirigenziali (dunque datori di lavoro) al vertice delle varie società che hanno gestito, nel tempo, gli stabilimenti in questione ed, in particolare, i reparti produttivi Convenzionale e Nucleare, specializzati nella fabbricazione di componenti isolanti per usi industriali (in particolare componenti di grandi dimensioni destinati a centrali termoelettriche e nucleari) – in cui l’amianto non era direttamente oggetto di produzione o lavorazione, ma veniva utilizzato per le sue qualità di coibente termico e dispositivo di protezione per gli operai.
Non essendo posto in dubbio che le esposizioni che hanno condotto alla morte degli operai coinvolti – quantomeno nella maggior parte dei casi – fossero riconducibili con ragionevole certezza, in tutto o in parte, ad una esposizione a fibre di amianto (dunque anche presso gli stabilimenti milanesi della Ansaldo-Breda), l’attenzione del Collegio si è incentrata, ancora una volta, sui temi dell’accertamento del nesso di causalità – generale e individuale – intercorrente tra le condotte ascritte ai singoli imputati (in posizione di garanzia), per i periodi di rispettiva durata in carica, e gli eventi mortali verificatisi.
La motivazione, sul punto, ha sostanzialmente ripreso e fatto propri gli argomenti spesi dal Primo Giudice dr. Luerti, della IX sezione penale del Tribunale di Milano, con la Sentenza del giugno 2017 (qui pubblicata con un commento), secondo cui, in sintesi, l’assenza di dati scientifici certi e consolidati in merito allo sviluppo della malattia impedisce di ricostruire ex post l’esatta scansione temporale delle fasi della cancerogenesi nei singoli casi dei lavoratori ammalati (e poi deceduti), così che – pur aderendo, su un piano di causalità generale, alla teoria del c.d. modello “dose-risposta”, che può dirsi acquisita in letteratura medica – non è possibile ricondurre il singolo evento letale alla condotta di uno o più singoli imputati. Sicché, in ossequio al principio di personalità della responsabilità penale, non è possibile addivenire con il sufficiente grado di certezza ad affermare la sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta di ciascun imputato e l’evento morte di uno o più lavoratori.
Si riporta, per una miglior sintesi, un l’estratto conclusivo della motivazione, rimandando alla lettura integrale della Sentenza:
“Pertanto, da una lato la presenza di concrete e valide ipotesi causali alternative, dall’altro l’insussistenza di una teoria sufficientemente accreditata e consolidata nel mondo scientifico in ordine all’esistenza di un effetto acceleratore nonché l’assoluta incertezza scientifica in relazione alla durata del periodo di induzione e alla sua collocazione temporale nell’ambito del complesso meccanismo della cancerogenesi da amianto – aspetto peraltro ben specificato dal primo Giudice -, impediscono di indentificare, per ciascuna persona offesa, le esposizioni eziologicamente rilevanti e ritenere
provata oltre ogni ragionevole dubbio, anche sul piano individuale, la sussistenza di una relazione causale tra le condotte contestate e gli eventi lesivi concretamente occorsi anche per la difficoltà di una diagnosi spesso incerta che non ha consentito di attribuire con la necessaria certezza il decesso ad esposizione da amianto”. (Sent., pag. 53).