di Avvocato Carlo Cavallo
Articolo comparso sulla rivista Espansione (ottobre 2016).
L’usura bancaria consiste nel fornire prestiti a tassi di interesse che superano le soglie stabilite dalla legge. La materia è disciplinata, oltre che dall’art. 1815 c.c., dalla legge 7 marzo 1996 n. 108, la quale ha anche modificato l’art. 644 del codice penale che disciplina il reato di usura, nonché dalla legge 28 febbraio 2001 n. 24 e dalla legge 12 luglio 2011 n. 106 di conversione del D.l. 70/11.
Con frequenza trimestrale la Banca d’Italia, al fine di valutare l’esistenza di usurarietà bancaria degli interessi, stabilisce il tasso di interesse massimo, detto ‘tasso soglia’, che le banche possono applicare ai clienti all’atto dell’accensione di un rapporto di finanziamento, mediante un complesso meccanismo di calcolo.
Le difficoltà di valutazione circa l’esistenza dell’usurarietà bancaria degli interessi attengono alle componenti da inserire nel calcolo degli interessi, essendovi divergenze tra le indicazioni date dalla Banca d’Italia e la disciplina correlata all’interpretazione della legge.
Ciò premesso, in estrema sintesi si può affermare che la giurisprudenza parla di usura originaria e sopravvenuta, soggettiva e oggettiva.
L’usura bancaria originaria è quella che si configura quando gli interessi superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono stati promessi o convenuti a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. Se il tasso soglia è violato si applica l’art. 1815 c.c. che sancisce la nullità della relativa clausola: il prestito concesso diventa in questo caso erogato a titolo gratuito e il cliente può agire per la ripetizione di tutte le somme versate per interessi, spese e competenze.
L’usura bancaria sopravvenuta, invece, si verifica quando il contratto prevede un tasso di interesse non usurario al momento della stipula, ma che nel corso del rapporto è divenuto tale per effetto della variazione dei tassi soglia. La configurabilità dell’usura sopravvenuta è dibattuta: ove si ammetta la ricorrenza di tale ipotesi si sostiene che sorgerebbe un mero obbligo di rideterminazione degli interessi entro i limiti della soglia.
Altra distinzione importante, come detto, è quella tra usura oggettiva e soggettiva.
Nella prima forma di usura si registra l’assenza di qualsiasi riferimento alla situazione di debolezza economica della vittima del reato: chiunque presti soldi non può farlo richiedendo o percependo un corrispettivo superiore a quello stabilito dall’autorità amministrativa.
Nella seconda – l’usura soggettiva – il legislatore dispone che “sono ….. usurari gli interessi, anche se inferiori [al limite stabilito dalla legge] che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alle prestazioni di denaro […], quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”. In questa ipotesi, come si vede, il legislatore incentra l’attenzione sul requisito delle condizioni economiche del mutuatario e introduce la nozione normativa di “interessi comunque sproporzionati rispetto al capitale prestato” valutati in base alla concreta situazione economica e finanziaria (soggettiva) del soggetto che li ha dati o promessi.
Le problematiche che attengono all’usura sono molteplici.
Una delle più ricorrenti è quella che concerne i rapporti con l’anatocismo.
Nel linguaggio bancario esso indica la produzione di interessi da altri interessi scaduti o non pagati. Esempi di anatocismo sono il calcolo dell’interesse attivo su un conto di deposito o il calcolo dell’interesse passivo di un mutuo.
Dal 1° ottobre 2016, la materia dell’anatocismo con riferimento ai contratti bancari – quindi a mutui, finanziamenti, affidamenti, scoperti di conto e aperture di credito – dovrebbe avere una regolamentazione stabile e definitiva dopo anni di polemiche e sentenze del legislatore.
Da tale data, infatti, le banche devono necessariamente adeguarsi al disposto del decreto del Ministro dell’Economia (nella sua qualità di presidente del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) n. 343 del 3 agosto 2016, il quale finalmente attua l’articolo 120 del Testo unico bancario (Tub) che, a sua volta, contiene i principi direttivi per la disciplina dell’anatocismo bancario, demandando la concreta regolamentazione della materia appunto a una determinazione del Cicr.
E’ auspicabile che, con l’entrata in vigore della nuova disciplina, la materia troverà una sua definitiva e stabile regolamentazione. Fondamentale, a questo fine, quanto dispone l’articolo 3 del citato decreto ministeriale, in base al quale nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, «gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi, salvo quelli di mora». In tema di conto corrente e conto di pagamento, poi, viene specificato che gli interessi debitori e gli interessi creditori debbono avere la medesima periodicità, comunque non inferiore a un anno.