di Avv. Carlo Cavallo
Articolo comparso sulla rivista BancaFinanza, settembre 2016.
Cosa succede quando l’autore del reato presupposto, da cui discende la responsabilità dell’ente, non viene individuato?
A mente dell’art. 8 del d. lgs. 231/2001: “La responsabilità dell´ente sussiste anche quando l´autore del reato non è stato identificato…”, ma questa disposizione non è di facile applicazione.
In una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 29288/2016, emessa il 7 luglio 2016, è stata esaminata una vicenda avente ad oggetto numerosi episodi di corruzione nell’ambito di appalti indetti per opere di rilevante valore nel campo energetico. Svariate le imprese tratte a giudizio per rispondere del loro coinvolgimento nelle suddette vicende corruttive. In alcuni casi, però, la complessità delle singole operazioni e la sostituzione nel tempo dei soggetti che agivano per conto delle diverse società aveva determinato la concreta impossibilità di risalire alla persona fisica che aveva definito la trattativa a nome e nell’interesse della singola società.
Così stando le cose, i difensori degli enti in questione avevano sostenuto in primo e secondo grado, senza successo, che mancava uno degli elementi fondamentali per la configurazione della responsabilità d’impresa ai sensi del d. lgs. 231/2001: la precisa individuazione del soggetto che, dotato di funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente ovvero sottoposto alla direzione o vigilanza altrui, aveva agito commettendo l’illecito.
Posta davanti alla questione, la Cassazione ha osservato che la previsione contenuta nell’art. 8 del d. lgs. 231/2001, secondo cui l’ente è chiamato a rispondere dell’illecito anche quando l’autore del reato presupposto non è stato identificato, è giustificata dalla necessità di ovviare alle difficoltà talvolta esistenti di individuare l’autore del reato presupposto nelle organizzazioni a struttura complessa.
In base al principio di autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella della persona fisica, si legge nella sentenza in commento, la mancata identificazione dell’autore dell’illecito non impedisce la prosecuzione del procedimento nei confronti della società indagata nel cui interesse o vantaggio il reato è stato commesso.
In questo modo si intendono scongiurare gli scontati epiloghi che hanno caratterizzato molti processi riguardanti i reati commessi dall’interno dell’impresa.
Tuttavia, continua la Corte, la scelta operata dal legislatore del 2001 non è stata a favore di una totale autonomia tra l’ente, da un lato, e la persona fisica ad esso ricollegabile – autrice del reato presupposto – dall’altro, nel senso che, e qui sta l’importante precisazione introdotta dai Giudici di legittimità, “deve comunque essere individuabile a quale categoria appartenga l’autore del reato non identificato, se cioè si tratti di un soggetto c.d. apicale ovvero di un dipendente, con conseguente applicazione dei diversi criteri di imputazione e del relativo regime probatorio”.
Allo stesso modo, si legge ancora, dovrà essere possibile escludere che il soggetto attivo abbia agito nel suo esclusivo interesse, dovendo quindi risultare che il reato sia stato posto in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Dunque non si può eludere il problema che, alla luce delle considerazioni testè riportate, si pone a proposito della corretta applicazione dell’art. 8 d. lgs. 231/2001: da un lato esso consente di addivenire ad una pronuncia di responsabilità nei confronti dell’ente anche in assenza della perfetta individuazione della persona fisica cui imputare la commissione dell’illecito presupposto, dall’altro esso impone, comunque, al Giudice di raggiungere una prova certa quantomeno in merito alla individuazione della categoria di appartenenza dell’autore «ignoto» del reato, con tutto ciò che ovviamente ne consegue, in tema di assoluzione dell’impresa, se questa prova non si raggiunge.
In altre parole, secondo la Corte di Cassazione, solo quando il Giudice è in grado di risalire, anche a livello indiziario, ad una delle due tipologie cui si riferiscono gli artt. 6 e 7 del d. lgs. 231/2001, potrà pervenire ad una decisione di affermazione della responsabilità dell’ente, anche in mancanza dell’identificazione della persona fisica responsabile del reato, ricorrendo, ovviamente, gli altri presupposti.
Su questi aspetti la sentenza impugnata in sede di legittimità non aveva offerto alcuna motivazione, rifugiandosi in affermazioni apodittiche circa la sicura responsabilità della società laddove avrebbe dovuto fornire una spiegazione specifica in ordine agli elementi probatori idonei a dimostrarne la responsabilità in base al d. lgs. 231/2001.
Su tali punti, pertanto, la sentenza è stata annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello territorialmente competente.