Convegno di studi realizzato dalla COMMISSIONE SCIENTIFICA dell’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TORINO
9 LUGLIO 2015 ore 14,30 – 16,30 – Aula 6 Ingresso 15- Palazzo di Giustizia, C.so Vittorio Emanuele II 130, Torino
Sintesi delle relazioni
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SOMMARIO: 1. Introduzione (Avv. Cavallo) – 2. Relazione Prof. Pelissero – 3. Relazione Dott. Trevisan – 4. Bibliografia essenziale
- Introduzione Avv. Carlo Cavallo
Il nuovo complesso dei reati contro la Pubblica Amministrazione, introdotto con la nota riforma “Severino”, legge 6 novembre 2012, n. 190, continua ad offrire interessanti spunti di riflessione, anche a più di due anni di distanza dalla sua entrata in vigore.
L’interesse suscitato, invero, va di pari passo con le problematiche connesse alle specifiche modifiche legislative apportate, su cui la dottrina ha riversato, in questi anni, veri e propri fiumi d’inchiostro, sollevando problemi interpretativi ed applicativi di non poco conto su cui la giurisprudenza di legittimità è stata chiamata a confrontarsi.
Le soluzioni fornite, in verità, non sempre sono state appaganti ed hanno contribuito solo in parte ad apportare miglioramenti sotto il profilo della logicità e della ragionevolezza del sistema punitivo dei reati contro la Pubblica Amministrazione.
Tra i nodi di maggiore rilevanza vi è certamente quello che attiene alla modifica dell’art. 317 del codice penale – di cui oggi ci occupiamo – ed, in specie, allo sdoppiamento della previgente fattispecie di concussione da cui è scaturito il ben noto intreccio – sotto certi profili perverso – tra l’attuale “concussione per costrizione”, da una parte, e la cosiddetta “induzione indebita”, dall’altra.
La ricerca di una certa ed affidabile linea di demarcazione tra le due fattispecie criminose scaturite dalla novella ha dato luogo, in dottrina e in giurisprudenza, ad almeno tre diversi indirizzi interpretativi, che le Sezioni Unite hanno tentato, da ultimo, di ricomporre, con la nota sentenza n . 12228/2014.
Tuttavia, volgendo lo sguardo anche alla giurisprudenza successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite, si nota come questa non si sia attestata su un indirizzo fermo e univoco rispetto alla linea di demarcazione tra le fattispecie di “concussione per costrizione” ed “induzione indebita”. In relazione a tale problematica permangono forti contrasti e nodi esegetici da sciogliere, come avrà modo di illustrare diffusamente la relazione del Prof. Pelissero.
Ciò, in primis, si deve alle questioni legate all’accertamento delle conseguenze più o meno marcate che le condotte illecite del pubblico ufficiale possono provocare rispetto alla libera autodeterminazione del privato “concusso” o “indotto”: valutazioni che implicano spesso la necessità di compiere complesse ed enigmatiche analisi introspettive delle disposizioni d’animo dei soggetti coinvolti, vale a dire – di volta in volta – del concussore e del concusso, piuttosto che del concussore e dell’“indotto”.
Ma i termini del problema si allargano altresì all’individuazione delle eventuali finalità o degli interessi perseguiti dal soggetto privato nel contesto del concreto svilupparsi del fatto illecito.
Di qui lo svilupparsi delle questioni attinenti alla difficile esplorazione delle finalità del privato, in grado di atteggiarsi talora come condotte de damno vitando, talora come condotte de lucro captando. Elementi, questi, che si innestano inevitabilmente sulla valutazione del fatto di reato e sulla commisurazione della pena per il pubblico ufficiale, ricordando – fra l’altro – che, proprio in relazione alla fattispecie di induzione indebita, la sanzione penale ricade anche sul privato indotto, con le rilevanti conseguenze che verranno poste in luce nel corso della relazione del dott. Trevisan.
Da non tralasciare, infine, le problematiche connesse alla successione delle leggi nel tempo ex art. 2 c.p., sia rispetto alla continuità normativa ravvisabile – ma non scontata – tra la pregressa “concussione per induzione” di cui all’art. 317 c.p. e l’attuale “induzione indebita” di cui al nuovo art. 319 quater, sia rispetto all’individuazione della lex mitior da applicare alle condotte di reato commesse ante riforma, tanto con riguardo al privato, quanto con riguardo al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio.
Va infine ribadito che il dibattito attorno alle citate questioni – che pur non esauriscono il panorama dei problemi interpretativi connessi ai reati in esame – non attiene ad un mero ambito dottrinale o accademico. Al contrario, i profili di criticità connessi alle nuove fattispecie di concussione, come suggerisce l’ampia produzione giurisprudenziale sviluppatasi in questi anni, ha riflessi sempre più attuali ed importanti sulle vicende processuali in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione, che sempre più impegnano le nostre aule di giustizia.
Delle problematiche giuridiche connesse a questa evoluzione normativa e giurisprudenziale provvederanno a dare conto in maniera esaustiva gli odierni relatori, fornendo il loro personale ed autorevole contributo a questa riflessione e mettendo in luce gli aspetti condivisibili e quelli criticabili dell’attuale sistema repressivo dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, suggerendo eventuali correttivi in un’ottica de iure condendo.
- Relazione Prof. Marco Pelissero
La pronuncia delle Sezioni Unite, intervenute nel 2014 nel tentativo di ricomporre il conflitto giurisprudenziale in tema di concussione e induzione indebita, al fine di definire in maniera più netta e precisa il difficile confine tra le due fattispecie, ha posto l’attenzione, in modo particolare, sulla necessità di verificare, con un approccio di tipo casistico, più che dogmatico, le dinamiche di interazione psichica ravvisabili, nel caso concreto, tra le parti, vale a dire tra il privato, da un lato, ed il pubblico ufficiale, dall’altro.
Un problema esegetico, questo, che costituisce certamente un terreno inedito per gli interpreti e gli operatori del diritto, chiamati a confrontarsi, alla luce delle nuove disposizioni di legge in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione, con un problema che, in precedenza, non era nemmeno lontanamente avvertito. Prima dell’introduzione dell’induzione indebita, quale fattispecie autonoma di reato, invero, il problema di distinguere questa figura criminosa da quella della concussione per costrizione non sussisteva, se non rispetto ai criteri di quantificazione della pena, posto che entrambe le “varianti” del reato di concussione erano comunque sanzionate – quali condotte alternative – all’interno della medesima disposizione di legge: l’art. 317 del codice penale.
Tale contesto aveva peraltro indotto la giurisprudenza ad ampliare – e di molto – la nozione di “induzione” rispetto al reato di concussione, all’interno della quale le condotte del pubblico ufficiale potevano spaziare dall’induzione in errore, alla c.d. “blanda spinta”, finanche alla più diretta “sollecitazione”.
Vale la pena di ricordare, allora, quali furono i motivi che indussero il legislatore ad intervenire nel 2012 con la legge n. 190 (c.d. “legge Severino”, dal nome dell’allora Guardasigilli). Innanzitutto vanno tenute presenti le numerose e continue sollecitazioni che, negli anni precedenti, erano pervenute dalle istituzioni e dagli organismi di livello sovranazionale, in primis il rapporto dell’O.C.S.E. (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) del giugno 2012 ed il rapporto del G.R.E.C.O. (Gruppo di Stati contro la corruzione, in seno al Consiglio d’Europa) del 20-23 maggio 2012, entrambi tesi a sensibilizzare il nostro paese sulle conseguenze negative della mancata punibilità del privato “indotto”, particolarmente in quelle ipotesi di reati contro la Pubblica Amministrazione (specie in talune ipotesi di concussione) in cui, per l’apporto criminoso fornito, risultava iniquo garantire al privato stesso quell’impunità che gli derivava dall’essere “vittima” (e mai concorrente) rispetto al reato del pubblico ufficiale.
Così, con lo “spacchettamento” dell’allora reato di concussione (art. 317 c.p.), il legislatore da un lato manteneva in piedi la concussione, limitando le condotte alla sola costrizione, dall’altro dava origine all’autonoma fattispecie della “induzione indebita a dare o promettere utilità” (art. 319 quater).
Siffatta soluzione è stata oggetto di innumerevoli critiche in dottrina, anche se, considerando il contesto politico di allora, a fronte del “blocco” ostruzionistico creato da talune formazioni partitiche rispetto all’inserimento di nuove fattispecie di reati contro la P.A. (e, soprattutto, rispetto all’inasprimento delle pene), era difficile ipotizzare soluzioni diverse e più efficienti sul piano del contrasto a questo tipo di illeciti.
Una volta entrata in vigore la novella, il problema interpretativo già in precedenza al centro del dibattito – ovvero la difficoltà di tracciare un confine preciso tra le fattispecie di concussione e corruzione – si viene ad aggiungere alla nuova questione interpretativa, cui si accennava: quella del difficile discrimine tra la concussione (per costrizione) e la nuova fattispecie di induzione.
Quest’ultima, infatti, venendo a frapporsi quale fattispecie “mediana” tra le ipotesi di corruzione e quelle di concussione, finisce per avere una natura per così dire “anfibia”: da un lato, infatti, essa è simile alla concussione, poiché si connota per un analogo abuso della propria qualità perpetrato dal pubblico ufficiale; dall’altro essa è simile alla corruzione per la natura “negoziale”, tendenzialmente paritaria, del rapporto di scambio di utilità che viene a crearsi tra privato e pubblico ufficiale (e che giustifica altresì la punibilità – seppure in misura ridotta – del privato stesso).
Diviene così centrale, nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale, il problema della diversificazione tra concussione e induzione.
Nel descritto contesto, la soluzione fornita dalle SS.UU. n. 12228/2014 (“Maldera”) non è apparsa del tutto risolutiva. Anzi.
Di fronte al disorientamento giurisprudenziale, infatti, la Cassazione tenta di mediare, mostrando tuttavia non poche difficoltà nel delineare regole e criteri in grado di essere applicati in maniera certa.
Alcuni spunti particolarmente interessanti e “orientativi” della pronuncia del Supremo Collegio meritano tuttavia di essere colti e analizzati. In primo luogo occorre mettere in evidenza la centralità della punibilità del privato indotto: un elemento che, specie nella giurisprudenza successiva, svolge un ruolo di vero e proprio “spartiacque” nella scelta tra le due fattispecie.
Altrettanto importante e significativo della particolarità della materia affrontata è l’approccio casistico che le sezioni unite scelgono di seguire nel motivare la propria decisione e nel delineare i criteri discretivi tra concussione e induzione indebita: si tratta, invero, di una soluzione che non manca di offrire risposte all’interprete, testando i criteri generali dettati in sentenza su esemplificazioni di casi pratici.
In concreto la Cassazione distingue la costrizione dall’induzione sulla base di parametri incentrati non tanto sulle modalità della condotta quanto piuttosto sugli effetti che questa sortisce, di volta in volta, sul soggetto privato: si tratta, in altri termini, di “misurare” l’incidenza della condotta del pubblico ufficiale sulla libera autodeterminazione del privato.
La costrizione, unica condotta tipica rimasta in piedi rispetto al reato di concussione di cui al novellato art. 317 c.p., si caratterizza per l’ingiustizia del danno prospettato da parte del pubblico ufficiale a privato concusso e per l’assenza di qualsiasi vantaggio perseguito da parte del privato stesso (il quale agisce con condotte de damno vitando).
Per contro l’induzione, pur presentandosi anch’essa tendenzialmente libera nelle forme di manifestazione, sussiste ogniqualvolta non si sia in presenza di una minaccia, nemmeno implicita (nel qual caso si tratterebbe di costrizione: la contrapposizione tra costrizione ed induzione tra proprio nella distinzione tra minaccia e non-minaccia); l’induzione si connota altresì per un abuso del proprio ruolo da parte del soggetto pubblico, a fronte di un simmetrico vantaggio perseguito dal privato indotto (il quale agisce dunque con condotte de lucro captando).
La Cassazione, come detto, introduce in sentenza alcuni criteri casistici di verifica per testare la validità del suddetto criterio generale. Pare opportuno, in questa sede soffermarci su quelli più interessanti, afferenti a quella c.d. “zona grigia” tra concussione induzione che si caratterizzano per una ambigua interazione tra le parti del rapporto criminoso.
Nei casi più complessi, così, si verifica la prospettazione di un danno ingiusto, da parte del pubblico ufficiale verso il privato, cumulata a quella di un vantaggio indebito, preso di mira dal privato, creandosi così una commistione di elementi delle due fattispecie per come sopra descritte nella loro “struttura tipica”.
Altre volte si tratta di rapporti criminosi che, seppure in astratto rispondenti allo schema delittuoso dell’induzione indebita, ove il privato – talvolta a fronte di una minaccia (dunque di un male ingiusto), talvolta di fronte alla prospettazione di conseguenze del tutto legittime – persegue un proprio vantaggio indebito preminente, la Cassazione tende a ricondurre all’alveo della concussione, proprio per la particolare sensibilità dei beni giuridici in gioco e per la particolare tutela che l’ordinamento appronta rispetto ad essi; in tal modo si estromette la punibilità del privato che sarebbe invece prevista nei casi di induzione. Si tratta, invero, di casi tutt’altro che isolati: per fare un esempio su tutti si pensi alla prostituta che, fermata per identificazione dalla Polizia, venga indotta a elargire favori sessuali agli agenti in cambio di un rilascio anticipato (che non sarebbe consentito dalla legge). E’ evidente, in simili circostanze, come il soggetto privato, seppure indotto a perseguire un vantaggio indebito, si trovi a dover mettere in gioco un bene – come quello della libertà sessuale – particolarmente sensibile e tutelato; il che giustifica, nel caso descritto, la configurabilità della concussione.
Quale ulteriore criterio di discernimento – anch’esso molto interessante – la Cassazione pone al centro la valutazione del registro comunicativo adottato tra le parti nella condotta concussiva (o nel raggiungimento dell’accordo illecito tipico dell’induzione), quale vero metro di lettura dei casi afferenti alla c.d. “zona grigia”.
Si afferma così che è necessario verificare se, a fronte di un vantaggio indebito perseguito dal privato, dal tenore delle conversazioni e dei rapporti intercorsi si possa constatare – di volta in volta – una prevalenza della condotta prevaricatrice del pubblico ufficiale o una prevalenza dell’interesse indebito del privato, per nulla “indotto” o intimorito da un abuso di qualifica della parte pubblica.
In ciò, invero, la sentenza non sembra discostarsi molto dalle linee interpretative generali dettate dalla giurisprudenza, precedentemente alla riforma Severino, in ordine alla distinzione tra le ipotesi di corruzione e concussione; con la rilevante differenza – cui si accennava – che la nuova figura dell’induzione viene ora a frapporsi e a fare da “cuscinetto” tra le due precedenti fattispecie (corruzione e concussione, appunto) che risultavano certamente più facilmente distinguibili sulla base degli indici sintomatici della condotta prevaricatoria del pubblico ufficiale, di cui la giurisprudenza aveva stilato, negli anni, un cospicuo catalogo.
L’effetto che la sentenza delle Sezioni Unite ha sortito rispetto ai casi in concreto riscontrati ha posto in evidenza il permanere di alcune criticità, sintetizzabili in due principali problematiche. La prima è quella relativa alla c.d. “concussione ambientale”, figura di creazione giurisprudenziale in cui la minaccia, pur se non esplicita, viene chiaramente percepita dal soggetto privato, giacché quest’ultimo si trova ad operare in un “ambiente” in cui la tangente, come metodo di rapporto con la P.A., é vista come un mezzo pressoché necessario per l’ottenimento di determinati risultati (es. appalti).
In questo senso, prima della riforma Severino la giurisprudenza, sebbene in alcune pronunce avesse smaterializzato la condotta di abuso, nei più recenti arresti una specifica condotta abusiva dell’intraneus, giungendo in alcuni casi a ravvisare più che una concussione ambientale, una corruzione ambientale, ravvisando così anche una responsabilità penale in capo a chi aveva pagato o promesso l’utilità indebita.
Oggi, al contrario, le ipotesi di c.d. “concussione ambientale” saranno più facilmente soggette alla forza attrattiva dell’induzione, se non – addirittura – ricondotte ad ipotesi di corruzione, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di maggiore difficoltà di accertamento del reato.
Altrettanto problematica la situazione in cui il pubblico ufficiale si limiti a prospettare al privato l’esercizio di un’attività legittima (es. una denuncia per un reato effettivamente commesso), mentre il privato si ponga nelle condizioni di perseguire un vantaggio indebito; situazione a fronte della quale, in passato, la dottrina ha sempre inteso ravvisare ipotesi di corruzione, ma che oggi confluirebbero più facilmente nell’alveo dell’induzione. Anche in questi casi, alla luce delle indicazioni date dalla giurisprudenza, il fatto potrebbe essere ricondotto alla concussione, alla indizione indebita o alla truffa, in ragione del grado di condizionamento psichico della vittima (per distinguere gli ambiti degli artt. 317 e 319-quater c.p.) o della presenza o assenza di una condotta di abuso di funzioni o poteri (condotta che deve mancare per applicare i delitti di corruzione, nei quali – come ricordano le Sezioni Unite – le parti si muovono su un piano paritario).
Moltissime delle sentenze successive alla pronuncia delle Sezioni Unite ripropongono in modo del tutto formale i criteri da questa stabiliti, mentre altre concentrano l’attenzione sul grado di incidenza psichica della condotta del pubblico ufficiale sull’animus del privato (cfr. Cass. 6056/2014), considerando sempre più il vantaggio perseguito dal soggetto indotto come un fattore concorrente nella determinazione del fatto induttivo.
In altre sentenze, addirittura, la ricerca del vantaggio indebito perseguito da parte del privato diventa dirimente non solo per determinare la punibilità di questo, ma anche per definire i limiti della responsabilità del pubblico ufficiale.
Rispetto al profilo della successione delle leggi penali nel tempo, all’epoca dell’entrata in vigore del nuovo testo lo stesso ministro Severino aveva sostenuto la sussistenza di una piena continuità normativa tra la precedente condotta di concussione di cui all’art. 317 c.p. e le due nuove fattispecie di induzione e costrizione, così avallando la tesi dello “spacchettamento” che da un’unica originaria disposizione aveva dato orgine a due nuove fattispecie, il cui margine di operatività, sommato, coincideva esattamente con quello della previgente fattispecie, salva – naturalmente – la sola irretroattività della punibilità del privato nell’induzione indebita. Questa tesi è stata sostenuta dalla giurisprudenza in applicazione del criterio strutturale che è divenuto il criterio prevalente per risolvere la successione di leggi penali nel tempo.
Una parziale abolitio criminis sembrerebbe tuttavia profilarsi in relazione ad alcuni specifici casi, precedentemente puniti a titolo di concussione (in base a quel criterio giurisprudenziale “a maglie larghe”, in allora vigente, di cui si diceva in apertura) in cui un pubblico ufficiale induce taluno a compiere una determinata azione ma senza la prospettazione minacciosa di un danno ingiusto e senza che, d’altro canto, sussista un indebito vantaggio perseguito dal privato. In un caso simile, non sussistendo una minaccia da parte del pubblico ufficiale, non pare certo potersi ravvisare la nuova fattispecie di concussione (ridotta ai soli casi di costrizione); tuttavia, d’altro canto, non sarebbe integrata nemmeno l’induzione indebita, poiché non vi sarebbe alcuna prospettiva di vantaggio per il privato. Non sarebbe così applicabile il nuovo art. 319 quater c.p., che si caratterizza – come si è visto – per essere una fattispecie “a concorso soggettivo necessario”, in cui il perseguimento dell’interesse del privato condiziona il significato delle condotte dei concorrenti. Non resta, dunque, che affermare la non punibilità di una simile ipotesi e dunque, conseguentemente, un’intervenuta (seppur parziale) abolitio criminis. Tale esito emerge in particolare dalla vicenda processuale, in allora mediaticamente molto esposta, relativa al caso Ruby-Berlusconi (che ha poi visto l’ex primo ministro assolto in via definitiva dall’accusa di concussione per la quale era stato condannato in primo grado).
La soluzione – alternativa – al descritto vulnus potrebbe essere quella di considerare invece la nuova figura dell’induzione indebita non già come reato a concorso necessario, bensì come l’insieme di due distinti reati, uno del privato e uno del pubblico ufficiale, soluzione che appare più giustificabile specie se si considera l’aumentato divario tra la pene previste per il privato e quella prevista per il pubblico ufficiale, dopo il recente intervento legislativo (L. 69/2015). Così opinando, la sussistenza di un indebito vantaggio perseguito dal privato potrebbe venire in considerazione, nel caso concreto, non quale elemento indispensabile alla configurazione dell’induzione indebita, bensì quale eventuale elemento incidentale in grado di determinare, secondo i casi, la punibilità o meno del privato indotto, ferma restando, in tutti i casi, la punibilità del pubblico ufficiale che abbia indotto alla prestazione indebita.
Per la verità va detto che la giurisprudenza, avvicinando il nuovo art. 319-quater ai delitti di corruzione, rimane ferma sulla costruzione della fattispecie come reato a concorso necessario, rigettando la costruzione a fattispecie separate, analogamente al costante orientamento seguito in relazione ai reati di corruzione.
Alla luce della descritta evoluzione normativa e giurisprudenziale, le criticità che permangono nell’attuale disciplina dei reati contro la P.A. si possono riassumere nella mancata delimitazione netta dei confini di applicabilità delle nuove fattispecie di concussione e induzione indebita, nonché tra queste e la fattispecie di corruzione, posto che tutte e tre queste figure di reato presentano interazioni e punti di contatto di difficile individuazione e comportano, sempre più, un’analisi psicologica delle volontà dei soggetti coinvolti.
Né sarebbe risolutiva, in tal senso, la soluzione prospettata con il disegno di legge Grasso (S-19), che mirava ad eliminare tout court la punibilità del privato dal reato di induzione: per quanto ciò gioverebbe, e non poco, su un piano processuale, al fine di una maggiore emersione delle notitiae criminis, non eliminerebbe comunque le difficoltà connesse con la pluralità e la difficile distinzione tra le attuali fattispecie.
Più condivisibile, de iure condendo, la soluzione già avanzata nel c.d. progetto Cernobbio nel 1992, ossia prevedere accanto alla corruzione (anche se discutibilmente costruita come fattispecie unica) l’eliminazione del reato di concussione, le cui condotte confluirebbero nell’ipotesi di estorsione aggravata (il progetto potrebbe essere migliorato mantenendo accanto ai delitti di corruzione, la concussione solo per costrizione).
Rispetto al quadro normativo determinato della L. 190/2012, per come fin qui descritto, va considerato l’ulteriore intervento del legislatore che, con la L. 69 del 2015 ha nuovamente messo mano alle norme del codice penale sui reati contro la P.A., con la sola finalità di inasprire le pene e di correggere quel difetto di coordinamento che era derivato dalla mancata inclusione, nel nuovo art. 317 c.p., anche dell’incaricato di pubblico servizio quale potenziale soggetto attivo del reato di concussione.
Il principale problema determinato dall’azione sinergica di detti interventi di riforma si coglie facilmente osservando gli esiti delle novelle legislative in punto pena: il sostanziale livellamento dei minimi edittali e il progressivo avvicinamento dei massimi per le tre fattispecie di corruzione, concussione e induzione, non giova allo scopo di aiutare l’interprete a discernere con chiarezza i limiti di applicabilità di ciascuna norma. Così, la nuova figura dell’induzione, molto più vicina, per natura e struttura del reato, alla corruzione, viene invece avvicinata, quanto alla risposta sanzionatoria, alla fattispecie di concussione.
Un simile intervento legislativo, seppure dettato dell’esigenza di limitare il ricorso al patteggiamento, alla sospensione condizionale della pena e dalla volontà di “allontanare” il termine di prescrizione, non potrà che determinare ulteriori problemi applicativi, che emergeranno nella loro drammaticità in sede giurisprudenziale.
3. Relazione Dott. Cristiano Trevisan
La relazione si concentrerà, in modo particolare, sugli aspetti problematici connessi con la nuova punibilità del privato nelle ipotesi di induzione indebita, derivate, per “spacchettamento” dalla previgente concussione (art. 317 c.p.).
Il fatto che il soggetto privato, nella previgente ipotesi di concussione, non fosse punibile, rendeva certamente preziosa e determinante la sua posizione processuale: così, nei casi concreti, questi fungeva prima come essenziale informatore della Polizia Giudiziaria e del Pubblico Ministero titolare delle indagini e, successivamente, come testimone chiave in sede dibattimentale, ai fini dell’accertamento delle responsabilità del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio (quest’ultimo espunto dal testo dell’art. 317 c.p. per effetto della “legge Severino” (n. 190/2012) e poi reintrodotto, con intervento correttivo del legislatore, poi con la legge 69/15).
Il privato oggi può dunque assumere una triplice veste rispetto ai reati contro la Pubblica Amministrazione:
- può essere vittima del reato (come avviene nella nuova ipotesi di concussione ex 317 c.p., limitata alle sole condotte di costrizione perpetrate dal pubblico ufficiale)
- può essere “indotto” ex 319 quater c.p., e dunque punibile, quale “concorrente” del pubblico ufficiale, con una pena che va fino a tre anni di reclusione
- può essere, infine, corruttore del pubblico ufficiale, pertanto punibile, a norma dell’art. 321 c.p. con le medesime pene previste per il pubblico ufficiale corrotto (ex 318, 319 e 319 ter c.p.).
Dopo la L. 190/2012 le possibili vesti del privato sono dunque quelle di vittima del reato o di concorrente del pubblico ufficiale nell’induzione o nella corruzione. Va in tal senso considerato che, nelle ultime due ipotesi, il privato, non essendo persona offesa di un reato, bensì coimputato, potrà solamente rilasciare dichiarazioni soggette ai criteri valutativi di cui all’art. 192 comma 3 c.p.p. (dichiarazioni che dovranno essere riscontrate con elementi estrinseci individualizzanti), e perderà quel ruolo di informatore e testimone chiave rispetto alle condotte illecite del pubblico ufficiale. Sotto questo profilo non si può non parlare di un consistente aggravamento probatorio per la pubblica accusa.
La riforma del 2012, come si è ampiamente detto, rispondeva, in allora, a pressioni – provenienti da organi e istituzioni sovranazionali – che miravano ad estendere la punibilità del privato; esigenza tanto più avvertita specie dopo la dilatazione giurisprudenziale cui si era assistito degli spazi operativi della concussione di cui al vecchio art. 317 c.p., che erano giunti ad abbracciare un vastissimo panorama di possibili condotte (finanche episodi in cui il privato, spesso alla stregua di un vero e proprio “corruttore”, beneficiava dell’impunità derivante dal suo ruolo di persona offesa del reato).
Di fronte a questa “anomala” e mal tollerata espansione dei margini di non punibilità del privato, la riforma Severino provvedeva così a scindere (“spacchettare”) la vecchia concussione in due nuove figure di reato: la concussione (per costrizione) e l’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater), così da dare rilevanza, in quest’ultima ipotesi, anche al perseguimento di un vantaggio indebito personale del privato, tale da renderlo punibile a sua volta, anche se con pene inferiori a quelle dettate per il pubblico ufficiale.
La separazione delle condotte di concussione nelle due nuove “modalità” (costrizione e induzione), previste oggi in due autonome fattispecie di delitto, ha originato una serie di problemi operativi nella distinzione netta tra detti reati, di cui si è ampiamente detto nella precedente relazione.
Dopo l’intervento (parzialmente) chiarificatore delle Sezioni Unite “Maldera” (n. 12228/2014), tuttavia, è stata dettata una serie di criteri orientativi, ampiamente esposta dal Prof. Pelissero, che si può riassumere in un macro-criterio di ordine generale, attinente al profilo oggettivo contenutistico delle condotte.
Per distinguere tra concussione e induzione indebita occorre guardare al contenuto della prospettazione fatta dal pubblico ufficiale all’indirizzo del provato:
- se si tratta di una minaccia (vale a dire, in stretto senso giuridico, di una prospettazione di un danno ingiusto), allora si ha costrizione, purché non sussista al contempo un vantaggio indebito perseguito dal privato;
- al contrario, in via residuale, vanno individuati i casi di induzione di cui al nuovo art. 319 quater p., in cui non è prospettato al privato un danno contra ius, bensì un mero “invito” ad agire in un determinato modo, a fronte di una condotta del privato indirizzata verso l’ottenimento di un vantaggio indebito.
Sono diffusi, come si diceva giustamente, i c.d. casi di “zona grigia”, contemplati dalle stesse Sezioni Unite che tentano di stilarne un catalogo di massima, per aiutare l’interpretete a districarsi tra i caso più complessi.
Si pensi ai casi in cui il pubblico ufficiale prospetti al privato, insieme al danno ingiusto minacciato, anche un vantaggio indebito per il privato medesimo (c.d. ipotesi di TrOffer, da threat [minaccia] e offer [offerta]): si tratta di ipotesi-limite (invero non poco diffuse) difficilmente inquadrabili nell’una o nell’altra fattispecie, tanto che le Sezioni Unite hanno invitato l’interprete, in tali casi, a pesare di volta in volta la posizione di maggiore significatività tra quella del privato e quella del pubblico ufficiale. Così, quando prevalga la prospettazione del danno ingiusto vi sarà concussione, mentre vi sarà induzione laddove prevalga il movente della ricerca di un vantaggio indebito da parte del privato.
La pronuncia Cass. 6056/2014 ha ritenuto di ravvisare un’ipotesi di concussione laddove il pubblico ufficiale abbia prospettato ad un imprenditore il pagamento di una somma per evitare una serie di controlli in materia di sicurezza sul lavoro (controlli invero imposti ex lege a seguito di un infortunio mortale occorso nello stabilimento), e minacciando il soggetto stesso di “far fallire” l’impresa e di arrestarlo nel caso non avesse pagato. In evenienze simili la presenza di un vantaggio ingiusto perseguito dal privato passa in secondo piano rispetto alla prospettazione di un danno ingiusto da parte del pubblico ufficiale, poiché questo involge beni giuridici (come la libertà personale) particolarmente tutelati e non paragonabili, determinando così la sussistenza di un’ipotesi di concussione e non di induzione.
In un altro caso le Sezioni Unite tentano di orientare gli interpreti all’interno della c.d. “zona grigia” (o di TrOffer): si tratta dell’ipotesi della “minaccia implicita” o “generica” di un danno (appunto generico) perpetrata da parte del pubblico ufficiale verso il privato. Un’ipotesi – questa – che, più che un caso di scuola, sembra essere un’esemplificazione ritagliata sulla vicenda Ruby-Berlusconi, all’epoca della sentenza Maldera già decisa in primo grado dal Tribunale di Milano. Sentenza poi ribaltata in appello e confermata in cassazione (Cass. n. 22526/2015). In specie, nel caso Berlusconi, il giudice di primo grado aveva ravvisato nella telefonata dell’ex premier una condotta di concussione, tesa ad ottenere il rilascio di una ragazza straniera e la consegna a persone di sua fiducia, indicate nella medesima telefonata. Le Sezioni Unite, sullo specifico punto, hanno ritenuto pacifica l’impossibilità di ravvisare una prospettazione di danno ingiusto in casi analoghi di “minaccia generica”, affermando che quanto più è generica la prospettazione di un danno o di una conseguenza sfavorevole al privato, tanto più deve risultare “lampante” l’intento intimidatorio del pubblico funzionario. In assenza di questo non può ravvisarsi un’ipotesi di concussione.
La corte d’Appello di Milano, forse proprio sulla scorta del principio di diritto affermato dal Supremo Collegio, ha successivamente assolto Berlusconi, motivando la decisione con argomenti che ricalcano il principio dettato dalle stesse Sezioni Unite e non ravvisando, nella condotta di specie, gli estremi di un’intimidazione evidente e lampante; ciò anche sulla scorta del fatto che il medesimo soggetto concusso (l’operatore della Questura di Milano destinatario delle richieste dell’ex primo ministro), sentito come teste, ha sempre negato di aver subito intimidazioni.
La Cassazione, infine, decidendo sul ricorso della Procura Generale contro la stessa sentenza Berlusconi, osserva che, per aversi concussione, sia necessaria la percezione di un metus ab extrinseco da parte del privato, non ravvisabile nel caso di specie, poiché il timore sarebbe stato auto-indotto, nel soggetto ipoteticamente concusso, per una sorta di “timore reverenziale”, circoscritto al foro della sua privata coscienza, in assenza di una minaccia esplicita.
Una pronuncia, quella in esame, che si distingue certamente per il suo garantismo e che esplicita in modo ancora più netto il criterio dettato dalle Sezioni Unite del 2014.
Quanto al profilo giuridico, resta comunque il principio di diritto dettato dalla Cassazione, per cui se la minaccia è generica o implicita, affinché si possa parlare di concussione è necessario che l’atteggiamento intimidatorio del pubblico ufficiale risulti “lampante”.
Parimenti interessanti, nella soluzione fornita dalle Sezioni Unite, risultano i casi in cui il pubblico ufficiale, pur in assenza di una minaccia o di una prospettazione di un danno, ottenga denaro o altre utilità prefigurando al privato un vantaggio indebito, involgendo tuttavia beni giuridici primari nella disponibilità del privato (es. libertà sessuale). Se a prima vista, dunque, parrebbe ravvisarsi in simili casi un’induzione indebita, tuttavia, proprio per la particolare sensibilità dei beni giuridici in gioco, occorrerà più correttamente ritenere integrato il reato di concussione (così, ad esempio, anche nel caso del primario che riscuota una tangente per far “risalire” una lista d’attesa per un trapianto cardiaco salva-vita).
Secondo Cass. n. 37839/2014, in applicazione del medesimo principio di diritto, integra un’ipotesi di concussione la condotta di due militari che, accompagnandole in caserma, ottengono da due prostitute prestazioni sessuali, prospettando loro, in caso di diniego delle medesime prestazioni, la necessità di essere identificate e, pertanto, di essere sottoposte a fermo di 24 ore. In tal caso non può certo negarsi la sussistenza di un vantaggio indebito perseguito da parte delle ragazze e, d’altro canto, non sussiste alcuna minaccia di un danno ingiusto; tuttavia, come detto, essendo in gioco il bene primario della libertà sessuale delle due donne, non si ravvisa induzione indebita ma concussione da parte dei pubblici ufficiali, che saranno dunque i soli soggetti punibili.
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