di Avv. Carlo Cavallo
Articolo comparso sulla rivista BancaFinanza (luglio 2017)
È stato assegnato il 26 giugno alla Commissione Giustizia del Senato il disegno di legge d’iniziativa parlamentare che modifica la disciplina della responsabilità degli enti da reato (D.Lgs. 231/2001), presentato in Aula lo scorso 14 febbraio 2017 (DDL Senato N. 2700).
La proposta di legge, intitolata “Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa dell’ente e dei poteri dell’organismo di vigilanza”, è volta, in generale, a porre rimedio alla attuale situazione applicativa – definita insoddisfacente – della disciplina in materia di prevenzione del rischio penale d’impresa, concentrando gli sforzi riformatori sulle criticità più rilevanti poste in luce, fra l’altro, dai principali indirizzi giurisprudenziali.
Al di là di alcuni – doverosi ma sostanzialmente ininfluenti – interventi correttivi a livello formale e terminologico, l’impianto dei 14 articoli che compongono la proposta di riforma si distingue per la sua profonda incisività, a partire dalle ventilate modifiche all’art. 1 del Decreto, al fine dichiarato di scongiurare l’estensione della disciplina – pur registrata in giurisprudenza – alle imprese individuali (art. 1 del DDL).
L’articolo 4 comma 1 del DDL, sostituendo l’articolo 6 del decreto legislativo, sposta l’onere della prova in capo all’accusa in caso di reato commesso da soggetti apicali, così ribaltando la ripartizione dell’onere della prova fra accusa e difesa e riallineandola – secondo i promotori della riforma – al rispetto dei canoni costituzionali: in questa prospettiva, spetterà dunque al pubblico ministero dimostrare che l’ente non ha adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo, o non ha istituito un organismo di vigilanza munito delle necessarie caratteristiche, o, ancora, che quest’ultimo ha omesso di vigilare o l’ha fatto in maniera inefficace; non sarà più, viceversa, onere della difesa fornire la prova contraria in ordine a tali circostanze per poter andare esente da responsabilità. Inoltre, la proposta dei riformatori mira all’espunzione del discusso requisito della elusione fraudolenta del modello, concentrando lo sforzo probatorio richiesto al pubblico ministero sull’esistenza di una cosiddetta colpa organizzativa dell’ente.
Il medesimo art. 4 del DDL, al comma 2, introduce invece una novità sul piano sanzionatorio, prevedendo la confisca, anche per equivalente, del profitto che l’ente ha ottenuto in conseguenza del reato (confisca che, per effetto delle modifiche proposte all’art. 19 del Decreto, viene però limitata ai soli beni appartenenti all’ente). Al comma 3, invece, si precisa l’applicabilità dei commi 1 e 2 anche in contesti di “gruppo” societario, vale a dire, oltre alla capogruppo, anche agli enti soggetti ad “attività di direzione e coordinamento”.
Quanto poi al tema, assai controverso, dei requisiti utilizzati nella valutazione dell’idoneità del modello, interviene l’art. 6 del DDL, mediante l’aggiunta al Decreto di un nuovo art. 7 bis – che fa riferimento alla previsione di protocolli parametrati alle dimensioni ed alla complessità dell’ente, nonché alle necessarie attività di formazione del personale sul modello adottato ed alla obbligatoria previsione di un apparato sanzionatorio correlato al sistema disciplinare interno – e di un nuovo art. 7 ter – con il quale, parallelamente, si dettano parametri più stringenti per la formazione dell’ organismo di vigilanza. Coerentemente con il maggior rigore cui la proposta riforma appare improntata, è previsto il venir meno della facoltà prevista in capo alle società di capitali di attribuire le funzioni dell’OdV al collegio sindacale, al consiglio di sorveglianza e al comitato per il controllo della gestione.
Ulteriori, ma meno incisivi interventi, sono previsti con riferimento all’apparato sanzionatorio, alla disciplina processuale ed alla procedura di commissariamento giudiziale dell’ente.